Fotografia e architettura

Anno/Year 2004
160 pagine/pages
illustrato/illustrated
20x20 cm.
ISBN 978 88 88461 59 0
€20.00





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Fotografia e architettura

Scritti di: Anna Maria Amonaci, Gabriele Basilico, Rolando Bellini, Dario Betti, Roberto Bossaglia, Mario Caruso, Pierangelo Cavanna, Giovanni Chiaramonte, Cosimo Chiarelli, Paolo Cialli, Carlo Cresti, Cesare De Seta Lorenzo Giotti, Benedetto Gravagnuolo, Liliana Grueff, Francesco Jodice, Marina Miraglia, Angelo Pontecorboli, Paolo Rosselli, George Tatge, Italo Zannier

La fotografia è il mezzo per duplicare l’immagine di un’architettura; è l’espediente più immediato ed efficace per valorizzare la ridondanza estetica di un determinato monumento e per dare rilevanza ai dettagli, anche i più nascosti, che sfuggono alla superficiale osservazione e che contribuiscono alla totalità di quel monumento. La fotografia si configura, quindi, quale mezzo più confacente ad esprimere la metafora dell’architettura come interpretazione della forma e dello spazio per il tramite della luce. In questa accezione la fotografia si accredita quale esperienza di accentuata lettura critica del manufatto architettonico.
 

Giuseppe Pagano

 

INDICE
Architettura e fotografia - Carlo Cresti,
Architetture dello sguardo - Pierangelo Cavanna
La 'veduta' fotografica come forma rappresentativa privilegiata della scena urbana e dell'architettura - Marina Miraglia
Origini, fortuna e nuove possibilità della fotografia panoramica - Lorenzo Giotti
Giuseppe Pagano, fotografo di architettura - Cesare De Seta
'Xe bea, par un quadro!, Carlo Scarpa e la fotografia - Italo Zanier
L'Albergo dei Poveri fotografato da Mimmo Jodice - Benedetto Gravagnuolo
Giorgio Avigdor: la fotografia, l'architettura - Rolando Bellini
Immagini di architetture del fascismo in Sicilia - Mario Caruso
La fotografia finalizzata al turismo in Toscana negli anni Venti e Trenta del Novecento - Carlo Cresti
La fotografia come arte - Dario Betti
Ferdinando e Gino Barsotti, fotografi di architettura nella Firenze del Novecento - Cosimo Chiarelli
Fotografi e fotografia d'architettura in Italia - Conversazioni con: Francesco Jodice, Giovanni Chiaramonte, Paolo Rosselli, Roberto Bossaglia, Gabriele Basilico - Paolo Cialli,
Risposte ad alcune domande sul tema 'fotografia e architettura' - George Tatge
Tracce del 'fotografico' nell'Autobiografia scientifica di Aldo Rossi - Liliana Grueff
Scenari urbani come fotomontaggi - Anna Maria Amonaci
Fillmore East - Angelo Pontecorboli


TRATTO DA
Architettura e Fotografia di Carlo Cresti

In passato le storie dell'architettura classica e italiana, prevalentemente compilate da storici, non architetti, dispensatori di elenchi cronologici e stilistici, sono state scritte (ma continuano ancora oggi ad essere scritte) servendosi della comoda 'lettura' a tavolino delle fotografie di Anderson, Brogi e Alinari, evitando cioè la fatica di impegnativi sopralluoghi e di osservazioni dal vero dei monumenti dei quali si scrive.
Sono storie, queste, che quantomeno rivelano il comportamento sedentario di chi, con buona dose di poltroneria (fisica e mentale), ha troppe volte rinunciato al contatto diretto, magari tattile, con i monumenti, credendo di poterlo eludere, non ritenendo indispensabile penetrare, percorrere e conoscere (anche matericamente) gli spazi che danno forma e vita a tali monumenti.
Come dire che questi storici, quasi avessero una idiosincrasia per il monumento reale, si sono accontentati, troppo spesso, di vedere e conoscere l'architettura solo attraverso stereotipate immagini fotografiche (sostitutive del sopralluogo e favorevoli alle svelte attribuzioni purovisibilistiche), considerando la riproduzione fotografica, pur se bidimensionale, una presumibile immagine fedele ed esaustiva, e acquisendo pertanto una 'conoscenza' mediata e virtuale dell'architettura; una conoscenza fallace, in difetto di visione tridimensionale e di misurazione e percezione dello spazio architettonico inserito nello spazio circostante.
Per di più tali storie dell'architettura, confezionate mediante la disamina dell'immagine fotografica del monumento e non la ricognizione del monumento nella sua realtà, raccontano di architetture desolatamente effigiate in bianco e nero, cioè defraudate dei loro effettivi caratteri cromatici che sono complementi non trascurabili dell'intero risultato qualitativo. È questo il genere di raffigurazione fotografica che pare mirato al "congelamento solenne" - per dirla con Barthes - di una solennità immobile. Il suddetto requisito è soprattutto riconoscibile negli asettici prodotti di una stagione fotografica nella quale le architetture in posa, fossero esse maestosi palazzi o il minimo dettaglio di un capitello, assumevano atteggiamenti ostentatamente 'austeri'; apparivano trionfanti in piazze deserte e in silenziosi isolamenti che ne amplificavano le dimensioni, avvolte in una uniforme luce diffusa, refrattarie a situazioni meteorologicamente anomale, indipendenti da condizioni di virile luminosità mediterranea o di foschia padana, ritratte, con omologia di metodo rappresentativo, da un punto di vista centrale situato non alla normale altezza dell'occhio, bensì ad una quota più elevata, e traguardate tramite il 'basculaggio' che raddrizza le sgradite deformazioni prospettiche. Immagini fotografiche, queste, di una apparente Italia felix, ordinata, serena, perbenista, orgogliosa e rispettosa dei propri monumenti architettonici; immagini di ambigua particolarità comunicativa, capaci di offrirci una realtà improbabile ma accattivante. Non vi è dubbio però che la fotografia di architettura, pur come succedaneo rappresentativo della stessa architettura, è anche depositaria di qualche merito; se non altro quello di recuperare informazioni del passato, di servire alla ricostruzione "dov'era e com'era" di un monumento crollato (si pensi al campanile di San Marco a Venezia), ovvero di tramandare la 'storica' effigie di un intero tessuto edilizio abbattuto, di un edificio andato distrutto, o di un altro che va perdendo la propria originaria fisionomia a causa delle aggressioni del degrado o dei restauratori.
A similitudine del volto umano anche la pietra e il marmo rivelano le loro rughe, le proprie vulnerabilità, i deterioramenti dipendenti dal tempo che trascorre, e la fotografia ha la prerogativa di fissare in immagini il diverso stato fisico della pietra, del marmo, e quindi dell'architettura, per il confronto tra il prima e il dopo.
Come dire che la fotografia concede un peculiare monitoraggio dell'invecchiamento di un'architettura, sia in termini di danneggiamento fisico, sia in termini di icone di una sorpassata moda 'ideologica', e il rilevamento del duplice decadimento resta affidato a 'schede' visive che mantengono inalterato il loro valore certificativo, mentre le pietre dell'architettura raffigurata mutano irrimediabilmente il loro connotato epidermico e significato semantico. La fotografia è dunque strumento irrinunciabile e agevole per miniaturizzare, catalogare, archiviare e divulgare, in schede visivo-documentarie, le immagini di architettura.
Ma oltre la preliminare funzione testimoniale, la fotografia è anche il mezzo per impadronirsi - sub specie di evocazioni iconiche - delle campionature di architetture e di spazi urbani incontrati in una località che hai visitato per la prima volta; è il mezzo per illudersi di catturare l'inquadratura inedita o almeno insolita di una celebre architettura che altri hanno ritratto in milioni di pose, e che pure tu, in precedenza, hai già fissato sulla pellicola e nonostante ciò ad ogni nuova occasione ti offre emozioni e motivazioni diverse; è il mezzo per duplicare l'immagine dell'architettura che preferisci, e l'espediente più immediato ed efficace per valorizzare la ridondanza estetica di un determinato monumento e per dare rilevanza ai dettagli, anche i più nascosti, che sfuggono alla superficiale osservazione e che contribuiscono alla totalità di quel monumento.
Si possono per tanto verosimilmente ipotizzare alcuni indirizzi di vocazione tematica riguardanti il binomio fotografia - architettura.
Ad esempio la fotografia incline ad appropriarsi dell'incantesimo di penombre suggestive si può ritenere idonea a commentare visivamente l'architettura cosiddetta romanica; quella invece con aspirazioni alla verticalità più spinta pare destinata alla sintonia con l'architettura delle cattedrali gotiche; quella che preferisce impaginare, frontalmente e ortogonalmente, archi e colonne entro un cono prospettico centrale sembra adatta ad interpretare la staticità dell'architettura rinascimentale; quella amante dei giochi di luce su masse murarie modellate dal contrappunto di forme concave e convesse sembra protendere per la glorificazione all'architettura barocca; quella interessata alle combinazioni di volumi scatolari appare più conveniente all'architettura razionalista.
La fotografia si configura quindi quale mezzo più confacente ad esprimere la metafora dell'architettura come interpretazione della forma e dello spazio per il tramite della luce. In questa accezione la fotografia si accredita quale esperienza di accentuata lettura critica del manufatto architettonico.
Si spiegano così le recenti, più 'moderne' e incisive, esasperazioni dell'angolazione del punto di ripresa, dell'enfatizzazione di ravvicinate e bizzarre inquadrature dal basso verso l'alto per esaltare la verticalità e monumentalità dell'architettura, nonché la scelta della luce radente e della energica, quasi drammatica, contrapposizione del chiaro - scuro per amplificare i caratteri materici e la plasticità delle forme, per mettere in risalto gli attributi aggettivanti (statue, decorazioni), i riferimenti simbolici, gli aspetti retorici, ma anche per assegnare alla fotografia in sé, eventualmente d'autore, un marcato valore estetico che vuole palesare il messaggio qualitativo e significante, o soltanto la fotogenia del manufatto architettonico raffigurato. E ancora, attraverso la fotografia, si ottiene il rafforzamento del contrasto di un'architettura con la natura circostante o quello che resta della natura, con le condizioni ambientali emarginanti e caotiche, con le presenze stilistiche divergenti, con la lugubre edilizia dell'egualitarismo o della mercificazione, con i fenomeni di degrado sociale, con gli aspetti di estrema miseria.
Rimane infine da accennare alle tipologie fotografiche che contraddistinguono il rapporto con l'architettura insaporendolo di poesia o di prosaicità, di vanità o di concettualismo.
Alla tendenza poetica sembrerebbe appartenere la fotografia cosiddetta pittorialista allusiva di sfumate atmosfere aurorali attraverso le quali emergono, come apparizioni caliginose (ottenute con effetto flou) immagini architettoniche di materialità attenuata, o si delineano, in contorni sfuggenti, nel momento di un irripetibile, seducente controluce.
Al genere del banale è assegnabile la innaturale fotografia aerea che fa sembrare la città una maquette disponibile ad esclusive esercitazioni meditative di visionari urbanisti.
Sul versante del prosaico, oltre alle foto - cartolina di architetture - feticcio, si collocano almeno altri tre tipi di fotografie: il primo è quello della fotografia che usa l'architettura dei luoghi comuni del turismo di massa come inerte scenario di accompagnamento ai 'riti di passaggio' della vita dell'uomo (specialmente matrimoni e viaggi di nozze), identificabile nella foto - ricordo che attesta il "qui ci siamo stati"; il secondo, addizionato di vanagloria è quello della fotografia funzionale alla celebrazione dell'architettura di regime; un genere che ha assegnato alla Casa del fascio o alla Casa dei Soviet la spettacolarità di una cattedrale; il terzo, intriso di megalomania, è rappresentato dalla immagine della città come collage fotografico di edifici, preferibilmente di aggressiva monumentalità, e come specchio deformante di umane ambizioni: le esemplificazioni possono spaziare da Metropolis di Paul Citroen (1923), al Tavolo degli orrori di Pietro Maria Bardi (1931), per finire agli orrendi fotomontaggi reclamistici del patrimonio immobiliare di Società assicuratrici. Nella categoria concettuale si colloca di diritto la fotografia che vuole vedere l'architettura 'dentro ed oltre' seguendo il prestabilito percorso di una idea che è creazione dell'ingegno e della cultura, ossia la fotografia che - per dirla con Zannier - è "progetto di visualizzazione": un modello in questo senso è fornito dalla fotografia che racconta l'episodio architettonico osservandolo per brani, focalizzando l'attenzione sui dettagli e offrendo quali risultanti immagini compositive le estrapolate, ingrandite iterazioni seriali dei dettagli che formano l'insieme.
L'ultima tipologia, la più 'intrigante', e da sottolineare con ironia, è quella della fotografia di un'architettura eseguita dall'architetto progettista di quella stessa architettura, che per di più non nasconde ambizioni di fotografo. È questo il caso in cui il virtuosismo della ricerca di effetto estetizzante, il gusto del 'taglio' scenografico, l'equilibrio 'ponderale' dei vuoti e dei pieni, la valorizzazione 'artistica' e la promozionalità pubblicitaria della fotogenia dell'edificio, il mito di una società migliore accreditabile all'azione di quella architettura (esteriorità e ideali che l'architetto spera di aver sintetizzate nell'immagine fotografica), raggiungono il maggiore livello di compiaciuto esibizionismo.
Al di là di tutte le possibili classificazioni tipologiche, resta in definitiva il sospetto che l'architettura sia sostanzialmente un nobile, fascinoso pretesto per soddisfare l'immaginazione, la sensibilità e il piacere di una fotografia appassionatamente e intelligentemente voyeur.